Mediatori specializzati in sanità

Prevenire tra gli immigrati la diffusione di malattie infettive, e in particolare dell’Aids, attraverso la formazione di “mediatori culturali in sanità” e l’attività di sensibilizzazione da loro svolta. Partendo da un duplice assunto di base: la scarsa conoscenza delle patologie infettive e delle loro modalità di trasmissione, nonché il basso livello di accesso ai servizi sanitari degli stranieri. E muovendo dallo scenario mondiale e locale: a dispetto degli allarmi sulla diffusione di altre infezioni, l’HIV resta una tra le grandi epidemie di questo secolo, verso la quale cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità e le altre realtà internazionali hanno indirizzato gran parte delle loro campagne di sensibilizzazione; a livello epidemiologico, basti pensare che solo in Sicilia sono 6mila i casi accertati di Hiv, con oltre 200 nuovi casi di infezione ogni anno. Da queste premesse e con questi obiettivi si è sviluppato il progetto “Mediterraneo. Aids e mediatori tra le terre”, realizzato nelle province di Catania ed Enna dall’associazione Terra Amica onlus con la collaborazione del Centro Astalli e dell’associazione Si.Ro. di Enna e con il contributo della casa farmaceutica Gilead.
Il progetto (coordinatrice dott.ssa Graziana Coco, coordinatore dinamiche di gruppo dott. Salvatore Sapienza, valutatore dott.ssa Silvana Leonforte, progettiste dott.sse Chiara Desiderio e Patrizia Uccellatore) ha dato i suoi più evidenti risultati nella formazione di un gruppo di mediatori culturali specializzati in sanità, con adeguate conoscenze cliniche e psicologiche e spiccate competenze comunicative e relazionali. Si tratta della figura dei “Cultural Assistant Counselor (CAC)”, che sono già all’opera in Sicilia per sensibilizzare gli immigrati alla conoscenza e alla prevenzione delle malattie infettive, costituendo in tal modo un valido supporto alle Aziende e alle strutture del Servizio Sanitario. In poco più di due mesi, attraverso la presenza di esperti, i venti corsisti hanno seguito un percorso affrontando aspetti che vanno dalle dinamiche di gruppo alla trasmissione e prevenzione dell’Hiv, dalle problematiche etno-psichiatriche e resistenze culturali alle rappresentazioni mediali dell’Aids, dalle patologie del migrante fino all’assistenza sanitaria agli sbarchi.

Spiega il dott. Mario Raspagliesi, direttore scientifico del progetto, dirigente medico dell’Unità Operativa di Malattie Infettive dell’Azienda Cannizzaro, nonché responsabile dell’Ufficio Assistenza Stranieri dello stesso ospedale: «Bisogna tenere in considerazione il peso delle barriere linguistiche e culturali nella comprensione dei concetti legati alla malattia e alla salute. Negli immigrati esiste una diversa idea della prevenzione, e spesso per molti di loro si tratta di un terreno sconosciuto. Dal punto di vista sanitario, il profilo di salute degli immigrati si caratterizza per condizioni di sofferenza dovuta a fragilità sociale, persistenti problemi legati all’accoglienza e all’accessibilità dei servizi». Gli immigrati con regolare documentazione, infatti, hanno accesso ai servizi assistenziali ma fanno meno prevenzione. Se, a maggior ragione, i documenti non sono regolari, la prevenzione diventa un lusso per pochi e tutto si gioca sulla singola iniziativa di Asp, ospedali e associazioni. Di qui l’importanza delle strategie in grado di tener conto del “capitale di salute” degli stranieri, con o senza regolare documentazione.
A sostegno dell’impianto del progetto, alcuni risultati del questionario somministrato agli immigrati mostrano che più di metà dei soggetti non conosce la differenza tra HIV e AIDS e non ha mai fatto il test HIV, ha ridotta conoscenza delle modalità di trasmissione, mentre è molto incoraggiante che il 90% dei soggetti si dichiara interessato a partecipare a gruppi di sensibilizzazione su HIV/AIDS. Tale scenario evidenzia la necessità di identificare gli elementi che favoriscono un’appropriata gestione assistenziale dell’infezione da HIV nella popolazione migrante. È infatti importante costruire una consapevolezza tra la popolazione immigrata, in grado di tradursi in metodi più efficaci per affrontare queste patologie, che richiedono un comportamento consapevole per contenerne la diffusione e, nel caso di soggetti HIV+, un’elevata adesione agli schemi terapeutici.
In tal senso, il Cultural Assistant Counselor può rappresentare l’interfaccia tra l’ambiente di supporto e assistenza e i fruitori che, portatori di culture diverse, non sono in grado di utilizzare adeguatamente il servizio sanitario: conoscendo la cultura degli immigrati, può interpretarne i bisogni, fornendo risposte efficaci che permettano ai soggetti di comprendere la cultura, gli usi e i costumi italiani e le opportunità offerte dai diversi servizi pubblici presenti sul territorio, aiutando parallelamente le istituzioni ad avvicinarsi a loro. Ed è quello che il gruppo di venti mediatori culturali in sanità, formati nel corso del progetto Mediterraneo, di varie nazionalità, sta facendo oggi in Sicilia. E quest’attività avrà un ulteriore seguito: alla luce dei risultati ottenuti, il progetto “Mediterraneo. Aids e mediatori tra le terre” continuerà con la seconda progettualità, sostenuta sempre da Gilead.